Estratto da “Ricordi di gioventù – Cose vedute o sapute” , Giovanni Visconti Venosta
Dopo la spedizione del mille, ci fu, com’è noto, quel succedersi d’avvenimenti nelle provincie meridionali, dai quali uscì l’unità d’Italia. Alle gene razioni future la storia parlerà di quei fatti memorabili, snebbiando leggende già formate, e coi documenti ne darà una visione più completa di quella che ne ebbero gli stessi contemporanei.
I prodigiosi avvenimenti che succedevano in Italia vi facevano accorrere in quei giorni uomini politici e giornalisti d’ogni paese, che venivano a ved ervi lo spettacolo d’una nazione che risorge. Parecchi ammiravano, molti rimanevano scettici, e alcuni parevano quasi seccati di ritrovare dei vivi do ve erano abituati a passeggiare tra le ruine e tra i sepolcri.
Di questi forestieri ne incontravo sovente in casa della principessa Belgiojoso, dove però non era ben accolto chi ne’ suoi discorsi metteva innanzi d e’ dubbi sul trionfo finale della nostra causa, o moveva critiche agli atti o agli uomini nostri. Nella principessa sopravviveva intero l’antico entus iasmo patriottico;
ed ora che le antiche aspirazioni stavano per diventare realtà, essa si ribellava contro chi non festeggiasse il loro trionfo. Ammirava i nostri migli ori uomini politici, e soprattutto Cavour; era intollerante d’ogni critica, che riteneva in quei momenti dannosa, e non permetteva a nessuno di turbar le il suo ottimismo.
Ottimista anch’io, e di più senza i disinganni dell’età matura, s’andava molto d’accordo nei nostri discorsi; sicché in pochissimo tempo fui tra quell i con cui la principessa amava discorrere di politica, e che accoglieva nel modo più cortese e cordiale. Quando riceveva, nel suo salotto le portavano un narghilé, e fumava non so che cosa, che non era tabacco. Si metteva di solito a un tavolino, e ricama va facendo conversazione. Qualche volta scriveva tenendo una cartella sulle ginocchia; scriveva, in mezzo alle chiacchere e alle discussioni, opuscoli od articoli per giornali e riviste, specialmente per la Revue des deux mondes; il più delle volte scriveva in francese, dicendo che le riusciva più f acile.
Quand’era ammalata raramente si metteva a letto, ma si adagiava vestita, e tra scialli, su una gran poltrona, curandosi talora da sé, poiché aveva il ticchio della medicina; il suo medico, però da molti anni, era il dottor Maspero, il traduttore dell’Odissea. Pochi giorni prima che morisse, la vidi ancora adagiata nella poltrona. Ero andato una mattina a domandare le sue notizie, ed essa sentendo che mi tro vavo nel salotto colle vedermi: mi fece cenno d’accostarmi, e di volermi parlare; poi con un filo di voce mi chiese se quella mattina ci fossero dei d ispacci su non so quale questione politica importante. La politica e la patria la interessarono fin nelle ultime ore della vita. Morì pochi giorni dop o, ossia il 5 luglio del 1875 [sic. In realtà nel 1871]
Gli ultimi suoi amici videro con malinconia e con dolore scomparire questa donna, che col carattere e coll’ingegno aveva illustrato il patriottismo it aliano, e coi larghi mezzi lo aveva promosso e sorretto nelle circostanze più difficili.