Al Direttore del New-York Tribune:
Costantinopoli, venerdì 2 maggio 1851.
Il vecchio mondo europeo sprofonda sotto il peso schiacciante della necessità di una Rivoluzione sociale. Le ultime sfortunate lotte del 1848 hanno ingannato i nemici del popolo e della libertà, poiché li hanno convinti che le istituzioni monarchiche e dispotiche, la schiavitù della classe più povera, la divisione della massa della stessa razza in due classi, una ricca, felice e ben istruita, l’altra povera, rozza, analfabeta, brutale e disgustante, che le iniquità della legge, l’ultimo ricorso alla spada, gli imbrogli finanziari e commerciali, in breve, che la base su cui è fondata l’edificio sociale è troppo forte per essere rovesciata dall’indignazione popolare.
Coloro che la pensano così dimenticano un fatto importante; cioè, che queste mostruosità non persistono da sole, né si basano su un principio proprio, contro il quale la forza popolare deve essere diretta per essere vinta. No, non è così; se re ed imperatori si vedono ancora in Europa, non come resti di una società passata, ma come potenze da temere e detestare, se i diritti di tutti non sono rispettati, se la maggioranza è ancora schiava dei pochi, è perché il popolo non conosce i suoi diritti né la sua potenza, perché è diviso e armato l’uno contro l’altro, perché alcuni di loro sono fatti strumenti per gli oppressori di tutti, in modo che la forza popolare è impiegata contro la libertà popolare.
Ma questa fatale cecità si sta rapidamente dissipando, ed è per questo che i troni usurpati stanno tremando, perché le vittorie dei re sui loro sudditi non hanno alcun valore, e perché il giorno dopo una sconfitta popolare, i vincitori si sentono ancora più deboli di prima.
Dopo l’infelice esito dei moti del 1848, tutto sembrava eternamente quieto. I sovrani e i sostenitori dei vecchi pregiudizi gioivano per la strage dei loro generosi nemici e pensavano che i loro privilegi fossero più saldamente stabiliti che mai. Una tale illusione non poteva durare. Un anno è appena passato, e le onde della collera popolare si stanno radunando, le vecchie istituzioni vacillano e una nuova rivoluzione si avvicina rapidamente. Il centro attorno al quale si muovono e si raccolgono le diverse varietà di dispotismo, il perno della macchina sociale, il Papa si sente insicuro sotto la protezione delle sue guardie francesi e chiama a sé ulteriore aiuto. Il Presidente della Repubblica francese si sta ora impegnando al massimo per ottenere dalla rappresentanza assembleare la revisione della Costituzione, al fine di trasformare la Repubblica in una Monarchia, e la sua stessa Presidenza in una corona imperiale[1]. I rappresentanti sono determinati a rifiutare, ma lui farà appello all’intero corpo della nazione; in altre parole, consulterà gli stessi elettori che gli diedero tre anni fa sei milioni di voti, e che consistono nelle egoiste classi commerciali e nei contadini ignoranti che credono a ogni assurda affermazione; ad esempio, che il Principe Luigi sia lo stesso Imperatore Napoleone in persona, fuggito da Sant’Elena e che assume, per via del travestimento, i tratti e il nome del suo giovane nipote. Altri credono che sia il Duca di Reichstadt[2], sperando che li libererà dall’ultimo tributo dei 44 centesimi, ora posseduto dai ricchi. Riuscirà o no! Questa è la domanda del soliloquio di Amleto, non solo per il Presidente, ma per le libertà di tutta Europa. Se la revisione della Costituzione repubblicana viene votata – se la giovane Repubblica scade nell’abbraccio soffocante della vecchia e marcia Monarchia – dimostrerà che la nazione francese, che si è vantata di essere leader della filosofia e della politica moderne, sta cadendo in declino, e saremo costretti a cercare una guida più giovane e più stabile sulla strada dell’affrancamento civile. Questo sarebbe un terribile freno a ogni progresso politico, dato che nessun’altra nazione europea si è mostrata pronta e degna di una missione così importante.
Se la revisione della Costituzione Repubblicana viene rifiutata, il Presidente adotterà un altro corso più violento, farà appello alle armi e le guerre civili peggioreranno la già infelice condizione del paese. Altre nazioni si alzeranno direttamente per unire i loro sforzi a quelli del popolo francese, e la rivoluzione imminente scoppierebbe ovunque.
Da ogni parte, i vecchi e decrepiti troni vacillano dalle loro fondamenta. Una guerra sanguinosa, fatale, forse l’ultima e definitiva, sta per scoppiare, tra coloro che possiedono tutti i diritti e nessun potere e coloro che disprezzano i primi e usurpano i secondi. Dubitare del risultato finale di quella guerra sarebbe un’offesa contro la Potenza universale dominante, che non può essere accusata di alcuna ingiustizia. Aspettiamo e siamo fiduciosi, perché la causa della Libertà e del Popolo è la causa della Giustizia e deve per conseguenza essere la causa di Dio.
Christine Trivulzio di Belgioioso.
[1] Fallito il tentativo di consolidare il proprio potere mediante la riforma costituzionale, Luigi Napoleone decise fece un colpo di stato il 2 dicembre 1851 prolungando a dieci anni il mandato presidenziale. Il 2 dicembre 1852 pose formalmente fine alla Repubblica proclamandosi imperatore dei Francesi con il nome di Napoleone III.[2] Titolo dato al figlio di Napoleone e Maria Luisa d’Asburgo. Fu formalmente imperatore dei francesi con il nome di Napoleone II. Morì di polmonite nel 1832.